Giappone? Per me è sì

Ero abbastanza piccolo quando sentì per la prima volta nominare il Giappone. Un mio zio che navigava con le navi ne parlava, oppure da ritorno dei sui viaggi ci portava orologi e radioline che da noi ancora non esistevano.

Il Giappone era una terra misteriosa e nel mio immaginario era popolata da antichi guerrieri con spada o abili lottatori di arti marziali. Me lo immaginavo anche un posto futuristico, con robot e tanta tecnologia che noi in Italia nemmeno ci immaginavamo.

E poi ho iniziato a scoprire il Giappone dei cartoni animati, un Giappone popolato da Mazinga, Goldrake, Jeeg Robot, da mille invasioni aliene, da esplosioni nucleari e da Godzilla … insomma un Giappone violento, inospitale.

Per tanti anni poi questo paese scomparve dalla mia mente, altre mete incominciarono ad attirare la mia attenzione ed il mito del Far West catalizzò per anni il mio interesse.

Arrivò Internet, iniziò l’epoca in cui potevi organizzarti un viaggio da solo comodamente seduto davanti il tuo PC, con pochi clic si poteva prenotare un volo o un albergo. Ma non era ancora sufficiente. Il Giappone era ancora una terra lontana, sconosciuta e costosissima.

Negli ultimi anni accadde invece la svalutazione dello yen, il Giappone subì sempre più l’arrivo di grandi masse di turisti e divenne così finalmente un paese che si poteva visitare anche da soli ed a costi ragionevoli.

Detto fatto. In fin dei conti il ricordo che avevo da bambino di un Giappone antico e misterioso, ma tecnologicamente avanzatissimo non era mai stato sopito del tutto ed ora nel 2016 poteva finalmente concretizzarsi in un viaggio reale e non quello di fantasia di un ragazzo di 12-13 anni.

Questo viaggio di circa 3 settimane è stato una grande avventura e come sempre ha richiesto una buona dose di tempo speso mesi prima della partenza per organizzarlo nel modo migliore, cercando di prevedere il più possibile tutti gli inevitabili disagi dovuti principalmente alla barriera linguistica.

Internet è fantastico, ma è come leggersi tutta la trama di un film prima di vederlo: ti toglie il gusto della sorpresa. E così quando arriviamo a Tokyo c’è solo un minimo effetto “wow”. Sapevamo tanto, avevamo visto immagini, video e avevamo letto un sacco di informazioni ed aneddoti di altri visitatori.

Nonostante tutto questo background di informazione c’è sempre un qualcosa che niente e nessuno potrai mai descrivere ed è quel mood che percepisci solo tu quando sei in un paese straniero. E’ un qualcosa di impalpabile e totalmente personale, anche difficile da descrivere, ma che alla fine è il vero discriminante tra un bello o cattivo ricordo del tuo viaggio.

A meno che tu non vada a visitare dei parchi, dei deserti o delle barriere coralline è inevitabile caratterizzare un paese in base ai suoi abitanti. Il Giappone per loro e nostra fortuna ha i giapponesi.

Definire il giapponese in 3 settimane ovviamente è impossibile e rischierei magari di prendere anche delle cantonate pazzesche, ma con certezza posso dire che almeno per il turista che arriva lì, è il meglio che si possa desiderare.

E’ vero, sono anche strani, ammesso che il concetto di strano sia univoco e non personale, quindi diciamo sono diversi da noi italiani ed occidentali in genere, ma sono squisitamente gentili, sorridenti (specie le ragazze), mai arroganti. La loro natura e cultura del rispetto verso le cose e le persone li porta ad essere a volte quasi stucchevoli ai nostri occhi. Dopo un po’ però ti abitui e prendi coscienza che è bello essere sorridenti e gentili, pazienti alle file, ordinati e ti lasci lentamente coinvolgere da questo loro modo d’essere. Lentamente lo stress ed i modi a volte bruschi che hai normalmente a casa lasciano spazio ad uno stato d’animo sempre più zen. Ammiri ed apprezzi sempre di più il piacere dell’inchino quando saluti, il sorriso ad un operaio o ad un vigile passeggiando per strada. Rimani stupito dagli automobilisti che si fermano per lasciarti passare o dalle persone che cercano di farsi capire in tutti modi pur parlandoti solo in giapponese.

Ecco che alla fine il viaggio è farsi lasciar coinvolgere dai loro ritmi e dalla loro cultura socievole e quasi mai sopra le righe.
Sono tanti, davvero tanti ad affollare in qualsiasi momento della giornata le loro strade, i loro grandi centri commerciali, ma per qualche strano motivo non percepisci mai un senso di caos. Ti tuffi un po’ incerto e timoroso nel grande incrocio di Shibuya, convinto di venir travolto dalla massa di gente ed invece miracolosamente passi senza quasi essere sfiorato, come quando sott’acqua attraversi nuotando un luccicante banco di sardine e nessun pesce ti sfiora.

I giapponesi sono la parte preponderante che mi è rimasta nel cuore, dopo che per anni li ho visti sempre solo nella loro stranezza, con gli ombrellini per proteggersi dal sole, le loro mascherine bianche (scoperto che le usano non per lo smog, ma solo quando sono raffreddati per non contagiare gli altri), le loro buffe pose quando si fanno fotografare, mentre adesso ne apprezzo i valori umani, di rispetto e da macchiette da prendere un po’ in giro, sono diventate persone per le quali ogni tanto provo anche un po’ di invidia.

Ma il Giappone non sono ovviamente solo i giapponesi.
E’ storia di un passato ricco di tradizioni, ma è anche futuro, tecnologia e progresso che percepisci nei grandi grattacieli, nei robot androidi all’interno di centri commerciali, di treni super veloci.

Le anime di un glorioso passato e di un futuro da costruire, ma già presente in molti aspetti della vita quotidiana, convivono in modo che può sembrare inspiegabile e tuttavia affascinante.
Non si può che rimanere sorpresi nel vedere donne di ogni età passeggiare nei quartieri più antichi di Tokyo o Kyoto in kimono, magari acompagnate dal loro ragazzo o compagno vestito in pantaloni e maglietta.
C’è sempre grande rispetto per le loro tradizioni e se qui in italia uno si vestisse come un uomo dell’800 verrebbe deriso o internato, lì è del tutto naturale.

Oramai i templi sono spesso fagocitati da enormi grattacieli, ma la gente vi si reca sempre numerosissima a fare le loro brevi preghiere. C’è un rito in tutte le cose, c’è la purificazione con l’acqua, c’è l’inchino , c’è l’accensione dell’incenso … E’ un paese che mantiene viva la sua componente spirituale.

E poi ci sono i grandi quartieri tecnologici, mondi dove perdersi tra luci, colori, suoni e fumetti manga, quartieri che prendono vita come un luna park di notte ed acquistano dopo il tramonto un fascino tutto loro. Si rimane spiazzati la prima volta, non sapendo dove guardare, in quali negozi entrare, tanto si è circondati dai colori, le luci ed i mega schermi.

Il Giappone però oltre ad esprimere questo senso di rispetto, di confusione molto ben organizzata, è uno schiacciasassi.
Il mondo lavorativo è estremamente competitivo. Le persone, gli uomini soprattutto, passano tutta la loro giornata in ufficio, uscendo la mattina abbastanza presto e rientrando la sera ben dopo le 19/19.30.
Il Giappone probabilmente produce un po’ di solitudine. Si vedono poche coppie passeggiare mano nella mano nei centri commerciali, che restano totale appannaggio delle donne.
Gli anziani vivono in periferia, in piccole case e forse ci ricordano un Giappone un po’ solitario, emarginato dal resto del mondo per parecchi secoli, chiuso nelle loro antiche tradizioni, ma forse voglioso di competere con America ed Europa.

La partenza mi ha lasciato un senso di incompiuto. Forse avrei voluto più di ogni altra cosa conoscere qualche giapponese, parlare con lui e capirne di più.
Non è stato possibile e così me ne ritorno a casa con una mia personale visione del Giappone e dei giapponesi che non ho minimamente la presunzione di credere sia quella più verosimile. Sono state 3 settimane in paese molto affascinante, con usanze molto diverse, con un modo di affrontare la vita comune sicuramente diverso dal nostro.

Un po’ mi mancherai, ma come spesso accade quando viaggi in posti lontani, ti porti sempre qualcosa dentro del paese che visiti. Un profumo, uno sguardo, un sorriso, un’immagine che poi ti resterà dentro a volte per sempre.

E come ha detto Marcel Proust “L’unico vero viaggio verso la scoperta non consiste nella ricerca di nuovi paesaggi, ma nell’avere nuovi occhi”.

Johnny

 

Giappone: un viaggio da vivere e non da vedere

IMG_3432

Il Giappone non ti lascia indifferente.

Il Giappone nell’immaginario collettivo è un paese affascinante, lontano, a tratti distante.

Dopo qualche giorno in terra nipponica ed aver visto qualche attrazione, tra quelle assolutamente da vedere, non riesco a capire tutto questo eccessivo entusiasmo per il Giappone e credo che tornerò in Italia con un laconico ‘sì carino il Giappone … affascinante ma non ci tornerei …’, quasi un po’ delusa da questo lungo viaggio. Insomma questo non è un viaggio qualsiasi e le mie aspettative sono molto alte, troppo forse, leggendo le sensazioni degli altri viaggiatori. Osservo e fotografo tutti questi templi, i vari quartieri di Tokyo senza un eccessivo trasporto.

Poi ci spostiamo a Kyoto dove il sovraffollamento da turismo organizzato raggiunge livelli mai visti prima, aumentando il caos fuori e dentro di me.

A fine vacanza torniamo nuovamente a Tokyo: l’ordinata, colorata e vivace Tokyo dove tutto è pianificato e organizzato. Ed è proprio qui che capisco. Capisco che il Giappone è un viaggio da vivere e non da vedere. Capisco che la vera bellezza del Giappone sono i giapponesi stessi, che portano avanti questa enorme macchina perfettamente oliata. Capisco che il Giappone ti entra dentro lentamente, dolcemente, chiedendo permesso attraverso sorrisi ed inchini.

Mi viene in mente la frase letta nel sito turistico che il Giappone è un paese ospitale senza essere mai invadente, è proprio vero.

Adoro i giapponesi che durante gli acquisti ti mostrano sempre la somma sul display e contano il resto davanti a te porgendotelo con due mani accompagnato da un sorriso. Sempre!

Adoro la pazienza dei giapponesi: non diventano  mai irrequieti se l’ascensore tarda ad arrivare. Aspettano e basta. Eppure Tokyo va di fretta.

Adoro i giapponesi perché sono sempre pronti ad aiutarti se solo accenni ad essere in difficoltà.

Adoro i giapponesi perché hanno un eccessivo rispetto del prossimo e proprio per questo indossano la mascherina, per non contagiare gli altri.

Adoro i giapponesi semplicemente perché sono così diversi dagli italiani, popolo caotico e individualista.

Certo anche i giapponesi hanno i loro difetti. In metro li vedi tutti curvi sui loro smartphone o dormienti. Sono più attenti al turista piuttosto che conversare con il vicino connazionale. Sono un popolo collettivo e lavorativo, quindi guai a finire sotto la ruota.

Quindi sì, alla fine posso dire che questo viaggio mi ha cambiata, lentamente e inesorabilmente. So esattamente quando l’ho capito. L’ultimo giorno di permanenza a Tokyo, dopo aver pagato l’ultimo conto in una caffettiera, la ragazza mi porge il resto con la loro usuale gentilezza. So che questa sarà l’ultima volta che uno sconosciuto mi tratterà con così tanta cura. Vorrei ringraziare quella ragazza con più di un semplice Arigato e dirle che i giapponesi sono un popolo meraviglioso, ma non dico nulla, sorrido e ce ne andiamo e una terribile tristezza mi pervade, non voglio rientrare in Italia dopo che i miei occhi hanno visto così tanta bellezza.

Non avevo mai sentito nominare prima d’ora il Mal di Giappone, ma so benissimo di cosa si tratti: sono stata contagiata.

Demi